IVA: inquadramento normativo degli “sconti” e dei “sevizi promozionali”
[di Giuseppe Bernoni e Giulio Tedeschi]
INTRODUZIONE
Nella prassi commerciale sovente si affrontano le tematiche del trattamento tributario, specialmente ai fini IVA, degli sconti e dei servizi promozionali.
Il tema è frequente sopratutto nel contesto delle attività promozionali poste in essere dalle imprese produttrici di beni di largo consumo e dalle imprese di distribuzione (ivi incluse le forme organizzate) che inducono ad individuare la corretta qualificazione di tali attività, a partire dalla corretta configurazione delle stesse sia come prestazioni di servizi, sia come sconti.
La giusta qualificazione consente quindi di addivenire alla corretta disciplina ai fini IVA, oggetto del presente intervento.
Il tema continua ad essere oggetto di interventi della giurisprudenza e della prassi, di seguito richiamate, che dimostrano quanto articolato sia il tema, di volta in volta da esaminare nelle molteplici sfaccettature.
Le somme che una società fornitrice eroga ai clienti-distributori a fronte dei “servizi promozionali” svolti sono imponibili ai fini Iva, con aliquota ordinaria, in quanto l’operazione si configura come prestazione di servizi: essi devono quindi essere assoggettati dunque a imposta con aliquota del 20%. Viceversa i vari sconti o premi che lo stesso fornitore concede ai clienti, invece, costituiscono delle riduzioni di prezzo e quindi sono considerati come variazioni in diminuzione. Questi principi, ad esempio, sono stati diffusamente trattati dall’Agenzia delle Entrate con la risoluzione n. 36/E del 7 febbraio 2008, nella quale l’Amministrazione finanziaria ha dettagliato le casistiche e il trattamento fiscale ai fini Iva degli sconti e dei servizi promozionali.
Il tema fa seguito ad altra risoluzione del 17 settembre 2004, n. 120, che aveva fissato i principi generali a cui sottoporre i bonus riconosciuti dalle società produttrici alle imprese distributrici, sia di carattere quantitativo (ossia connessi al raggiungimento di un certo volume di vendite) sia di tipo qualitativo (cioè legati a specifiche attività aggiuntive rispetto alla compravendita principale).
Sullo stesso argomento la Giurisprudenza della Corte di Cassazione con la sentenza n. 5006 del 5 marzo 2007 ha affermato che solo gli sconti (e non i bonus di fine anno) incidono sul prezzo dei beni venduti, consentendo quindi l’emissione della nota di variazione di cui all’art. 26 del D.P.R. n. 633/72. Gli sconti, però, secondo la Suprema Corte, vanno evidenziati nelle fatture e nei contratti (documentali o verbali). Diversamente, come nel caso dei premi di fine anno, le corrispondenti cessioni monetarie andrebbero trattate come estranee al campo d’applicazione dell’Iva.
Come si vede il tema è molto articolato e richiede di volta in volta un’attenta disamina per addivenire al corretto inquadramento.
Atteso che nel concreto la materia può presentarsi assai controversa, scopo di questo intervento è quello di sintetizzare i principi utili ad un corretto inquadramento delle fattispecie rilevanti per il trattamento tributario, ai fini Iva, degli sconti, abbuoni, premi, omaggi e similari, in quanto sovente volte i terzi clienti (cessionari) attuano procedure non del tutto corrette, che come tali, seppur usuali, sono da contestare.
L’esame che segue si articolerà quindi in una preventiva descrizione delle fonti normative, per poi soffermarsi, in concreto, su taluni aspetti pratici riscontrati nell’operatività quotidiana.
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DEFINIZIONI
Metodologicamente è utile prendere le mosse dall’art. 15, comma 1, n. 2, D.P.R. 633/72 ove tra le “esclusioni dal computo della base imponibile” è previsto “il valore normale dei beni ceduti a titolo di sconto, premio o abbuono, in conformità alle originarie condizioni contrattuali, tranne quelle la cui cessione è soggetta ad aliquota più elevata”.
Nel loro significato, per così dire commerciale, taluni termini suggerirebbero immediatamente una certa idea di gratuità della correlativa operazione di cessione; tuttavia nel sistema normativo gli aspetti qui trattati trovano ben distinti concetti di cessione a titolo di gratuità (c.d. omaggio per fini di rappresentanza) e di cessione a titolo di sconto, premio o abbuono (per fini più propriamente commerciali). Per inquadrare quindi completamente la questione, occorre nella specie, considerare due essenziali macro categorie di cessione:
- cessioni a titolo di sconto, abbuono o premio;
- cessioni a titolo di omaggio (di prodotti).
Si ha cessione a titolo sconto, abbuono o premio quando la dazione del bene, solo apparentemente senza corrispettivo, è motivata da ragioni di puro calcolo economico o di opportunità o di convenienza commerciale dell’operazione.
Si ha cessione a titolo di omaggio, invece, quando la dazione del bene avviene per puro spirito di liberalità, ossia senza corrispettivo di sorta in denaro o in natura.
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Altrettanto importante metodologicamente si appalesa la distinzione tra “servizi promozionali” e “sconti/premi”.
I primi si caratterizzano per la presenza di un adempimento di “un’obbligazione di fare” posta in essere da un soggetto (generalmente il distributore) a favore di un altro soggetto (generalmente il produttore) con lo scopo di orientare la domanda dei consumatori verso determinati prodotti.
Trattandosi di un servizio in senso lato, la prestazione ai fini IVA è assoggettata ad aliquota 20% ordinaria e non ha quindi nessuna correlazione con l’aliquota dei prodotti cui si riferisce.
Viceversa il presupposto dello “sconto/premio” si fonda sull’assenza di un’ulteriore obbligazione del cliente rispetto a quella legata al contratto di compravendita. Qui si intravede una correlazione con l’aliquota dei prodotti cui si riferisce, ma il regime IVA, sopratutto in considerazione della disciplina dell’art. 26 D.P.R. 633/72 dipende dal corretto inquadramento della fattispecie, anche con riguardo a limiti temporali.
Sotto l’aspetto della disciplina tributaria Iva sono conseguentemente configurate differenti conseguenze connesse a ciascuna delle categorie enunciate.
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A questo punto si può passare a sviluppare i tratti caratteristici delle tante fattispecie che si presentano quotidianamente agli operatori.
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CESSIONI A TITOLO DI OMAGGIO
L’affermata gratuità della dazione, ovvero l’assenza di titolo oneroso dell’atto, potrebbe rendere la cessione non soggetta ad IVA per carenza di una condizione primaria voluta dall’art. 2, 1° comma, D.P.R. 633/72 (“Costituiscono cessioni di beni gli atti a titolo oneroso che importano trasferimento della proprietà . ..“) costituita appunto dalla onerosità del negozio.
Tuttavia, il legislatore non poteva, senza disattendere la disciplina comunitaria (e senza dar luogo ad evasioni o a gravi distorsioni applicative del tributo) non prevedere l’ipotesi della cessione gratuita: a tale specifico fine è stata inserita nell’ordinamento IVA una c.d. finzione giuridica di cui all’art. 2, 2° comma, n. 4 D.P.R. 633/72, ove sono considerate cessioni ai fini Iva (ossia imponibili) “le cessioni gratuite di beni ad esclusione di quelli la cui produzione o il cui commercio non rientra nell’attività propria dell’impresa se di costo unitario non superiore a euro 25,82 e di quelli per i quali non sia stata operata all’atto dell’acquisto o dell’importazione la detrazione dell’imposta ex art. 19 … “ del medesimo D.P.R. 633/72.
Dall’esame di detta norma si rileva l’essenziale principio secondo il quale la cessione in omaggio di beni costituenti l’oggetto dell’ordinaria attività dell’impresa è da considerare non solo operazione rientrante nel campo di applicazione dell’Iva, ma anche imponibile, con aliquota propria del bene ceduto gratuitamente. Viceversa, in mancanza di una specifica previsione legislativa, la cessione di beni non rientranti nell’oggetto ordinario dell’attività esercitata (per esempio un regalo di prodotti diversi da quelli prodotti dal produttore) è regolata dalla disposizione generale dell’art. 2, 1° comma, D.P.R. 633/72 secondo la quale l’operazione è da considerarsi non soggetta (ovvero non rientrante nel campo di applicazione dell’imposta), per carenza di un elemento costitutivo del presupposto oggettivo dell’imposta, vale a dire l’onerosità della cessione.
In questo ambito si inserisce immancabilmente il problema della documentabilità che ai fini tributari le parti devono conservare per poter opporre all’Amministrazione finanziaria a giustificazione della natura attribuibile all’operazione.
Posto che per la cessione gratuita dei beni non rientranti nell’oggetto ordinario dell’attività non è obbligatorio alcuno specifico adempimento la problematica concerne gli obblighi relativi alle cessioni gratuite di beni rientranti nell’oggetto ordinario dell’attività del soggetto.
E così, in base all’art. 21 D.P.R. 633/72 è possibile affermare che l’obbligo della fatturazione riguarda tutte le operazioni, imponibili, non imponibili, esenti, nonché talune operazioni non soggette per difetto del requisito della territorialità, effettuate a titolo oneroso: nessun adempimento di fatturazione è prevista per le cessioni gratuite che (come si è detto, essendo dalla legge tributaria assimilate alle cessioni a titolo oneroso, soggette ad imposta), comportano sostanzialmente ed essenzialmente l’obbligo di assolvere il tributo secondo la seguente procedura alternativa di documentazione, a scelta del contribuente:
1) emissione di autofattura singola per ciascuna cessione o globale mensile per tutte le cessioni effettuate nel mese, con l’indicazione del valore normale dei beni, dell’aliquota applicabile e della relativa imposta (oltre, naturalmente, l’annotazione che trattasi di autofattura per omaggi);
2) annotazione su un apposito “registro degli omaggi” tenuto ex art. 39 D.P.R. 633/72, dell’ammontare globale dei valori normali delle cessioni gratuite effettuate in ciascun giorno e delle relative imposte, distinti per aliquote.
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CESSIONI A TITOLO DI SCONTO, ABBUONO O PREMIO
A sensi dell’art. 15, D.P.R. 633/72 sono considerate quali operazioni non rientranti nel computo della base imponibile: in altri termini detta norma prescrive l’esclusione del valore normale delle suddette cessioni dalla formazione della base imponibile.
Peraltro, al fine di dare una più precisa identità ai termini “sconto”, “abbuono”, “premio”, etc., può essere previamente utile esaminare l’art. 2, co. 30, lett. d), dell’allora D.P.R. 633/72 in vigore fino al 31/3/79 e poi sostituito dall’attuale disposizione dell’art. 15, 1° comma, n. 2 del medesimo decreto.
Orbene detta norma stabiliva che “... non sono considerate cessioni di beni: ... d) le cessioni a titolo di sconto o premio previste nelle condizioni generali di vendita o nel contratto originario, nonché quelle pattuite successivamente, anche a titolo di abbuono ed eseguite non oltre un anno dall’effettuazione dell’operazione o dell’ultima delle operazioni cui ineriscono”.
Si può desumere come la previsione normativa previgente consentiva di scomporre la trilogia “sconto — abbuono — premio” in due tronconi essenziali: “sconto o premio” da una parte e “abbuono” dall’altro.
Come è ricavabile dalla ratio della norma, la cessione a titolo di “abbuono” caratterizzerebbe una fase successiva del rapporto, individuabile verosimilmente in quella dell’adempimento: l’abbuono, cioè, consisterebbe in una riduzione dell’originario corrispettivo, concordato allo scopo di definire il rapporto contrattuale (nel senso che se il cedente dovesse rifiutare il riconoscimento dell’abbuono non vi sarebbe da parte sua violazione degli accordi negoziali già stipulati). Viceversa non riconoscendo egli la corresponsione dello “sconto” e del “premio” violerebbe certamente le pattuizioni intervenute.
Il trattamento le situazioni in esame risultano accomunate ex art. 15 D.P.R. 633 citato, come ininfluenti ai fini della composizione della base imponibile, purché risultino adottate “in conformità alle originarie condizioni contrattuali”. Operando un necessario raffronto tra la normativa oggi vigente (art. 15 cit.) e quella in vigore precedentemente (art. 2 cit.) si può notare come il legislatore abbia condensato nell’unica dizione “originarie condizioni contrattuali” le espressioni “condizioni generali di vendita” e “contratto originario”, nonché la previsione dell’arco temporale dell’anno entro il quale eseguire (e non pattuire) le cessioni a titolo di sconto, premio o abbuono.
In definitiva la modifica consiste in una più stretta aderenza della disposizione alla ratio dell’art. 26 D.P.R. 633/72, nel senso che attualmente non è più consentito pattuire sconti, premi o abbuoni successivamente alla stipulazione del contratto di vendita al quale essi sono riferibili .
Di converso la cessione a titolo di sconto, premio o abbuono in conformità alle pattuizioni originarie può essere eseguito anche oltre l’anno dall’effettuazione dell’operazione principale, poiché non dipendente da sopravvenuto accordo tra le parti (art. 26, 3 c., D.P.R. 633/72).
Dunque l’espressione “originarie condizioni contrattuali”, costituenti o meno, condizioni generali o particolari di vendita sta a significare l’insieme dei patti negoziali comprensivi anche degli accordi circa l’applicazione di sconti, abbuoni o premi sul corrispettivo dell’operazione di vendita, ovvero della prestazione di servizio, stipulati in un unico contesto negoziale antecedentemente all’esecuzione della cessione a titolo di sconto, premio o abbuono.
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SCONTI, PREMI E ABBUONI IN DENARO
L’argomento è stato fin qui delimitato nell’ambito della “cessione” di un bene a titolo di sconto, premio o abbuono, vale a dire un’operazione consistente nella dazione di un bene il cui valore normale corrisponde esattamente alla misura della riduzione di corrispettivo accordata dal cedente.
In tale ambito, il meccanismo tributario deve funzionare in termini di esclusioni dal computo della base imponibile, con le conseguenze connesse alla documentazione delle operazioni i cui componenti, pertanto, devono essere indicati in fattura, giusta la previsione dell’art. 21, 2° comma, n. 3 D.P.R. 633/72.
Ci si deve chiedere a questo punto se sia possibile riconoscere lo sconto, il premio o l’abbuono in denaro anziché in natura: in altri termini è possibile “cedere” una somma di denaro, in luogo della riduzione di corrispettivo pattuito?
La risposta non può che essere affermativa e introduce il concetto dei “premi di fine anno”, per il qual caso, a parere di chi scrive poiché l’oggetto della cessione consiste in una somma di denaro, la regola applicabile è quella stabilita dall’art. 2, 3° comma, lett. a), del più volte citato decreto D.P.R. 633/72.
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VARIAZIONI EX ART. 26 D.P.R. 633/72
In tutti i casi di applicazione di abbuoni, sconti o premi previsti contrattualmente, che comportino variazioni in diminuzione dell’ammontare imponibile risultante dalla fattura emessa e registrata (a tal proposito non si può parlare, per definizione, di operazione che viene meno in parte, poiché non ricorre alcuna ipotesi di risoluzione parziale della cessione originaria), il cedente ha diritto di portare in detrazione l’imposta corrispondente alla variazione (ammontare dell’abbuono o sconto), emettendo c.d. nota di accredito recante l’importo dell’abbuono o sconto e l’ammontare della corrispondente imposta calcolata con la stessa aliquota applicata all’operazione principale.
Secondo la previsione dell’art. 26 D.P.R. 633/72 è importante osservare come sorgano correlati obblighi in capo al “cessionario—cliente“ soltanto nel caso in cui il cedente eserciti il proprio diritto alla detrazione dell’imposta corrispondente alla variazione: se ciò non avviene, l’operazione rimane definitivamente acquisita nei termini fatturati. La disposizione, viceversa, non autorizza, né obbliga il cessionario-cliente ad assumere l’iniziativa, uguale e contraria, dell’emissione di una nota di addebito e pertanto il suo comportamento non potrebbe mai determinare l’insorgenza di un diritto a detrazione in capo al cedente. In altri termini, va chiaramente ribadito come il cliente-cessionario non potrà mai di propria iniziativa emettere documenti attinenti i premi che comportino una detrazione in capo al cedente.
Occorre, da ultimo, precisare che l’art. 26 citato D.P.R. 633/72 non contempla la riduzione dell’ammontare imponibile in conseguenza della concessione di un premio: la quale circostanza sta a significare che il premio ha sempre rilevanza supplementare rispetto all’operazione considerata.
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Ciò esaminato da un punto di vista prettamente normativo, vengono ora elencate talune fattispecie concrete.
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PREMI DI FINE ANNO
Si è detto come, oltre alla loro espressa previsione contrattuale, detti premi configurino cessioni di denaro ex art. 2, co. 3, lettera a), D.P.R. 633/72. In tali fattispecie trova altresì applicazione la procedura ex art. 26, D.P.R. 633/72, con l’ulteriore conseguenza che in linea generale spetti esclusivamente al cedente (cfr. nota 7 al paragrafo precedente) emettere la nota di variazione.
E’ pertanto non corretto il comportamento di quei cessionari-clienti che autonomamente emettono la loro fattura per addebito al cedente dei premi di fine anno.
E’ altrettanto non corretto il comportamento di quei cessionari-clienti che emettono la suddetta fattura assoggettandola a IVA con aliquota del 20%.
Infatti tale comportamento, da un lato, non è ossequioso del combinato disposto degli artt. 2 e 26 come sopra enunciati (esclusiva facoltà del cedente di emettere la nota di variazione — regime IVA che configura il premio in questione quale cessione di denaro) e dall’altro lato implica una possibile indebita detrazione dell’IVA 20% da parte del cedente non fosse altro per il fatto che potrebbe altresì venir utilizzata anche un’aliquota diversa da quella inerente le cessioni di beni o servizi originariamente effettuate con aliquote diverse (ad esempio al 4% e al 10%).
E’ da ultimo importante che i documenti emessi per siffatte fattispecie rechino chiaramente la dizione che trattasi di “premi di fine anno” e non diverse descrizioni idonee a trarre in inganno quali, ad esempio, contributi promozionali; compensi per premi; chiusura fine anno; contributi premi apertura; etc. (infatti i contributi promozionali, ad es., configurando il corrispettivo di un servizio e vanno autonomamente fatturati, assoggettandoli ad aliquota ordinaria).
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OMAGGI — SCONTI DI PROPRI PRODOTTI
Si è detto che una siffatta operazione concerne un atteggiamento di tipo prettamente commerciale in base al quale si riconosce al cessionario un bene a titolo di sconto, premio o abbuono.
Per tale fattispecie trova applicazione il disposto normativo di cui all’art. 15 D.P.R. 633/72.
Un primo riscontro concreto è che tale cessione di beni a titolo di sconto, premio o abbuono, sia conforme alle originarie condizioni contrattuali.
Si può ragionevolmente ritenere che la clausola contrattuale, idonea ad integrare i presupposti dell’art. 15 D.P.R. 633/72 per la quantificazione dello sconto quale somma non imponibile, possa essere formalizzata anche da normale scambio di corrispondenza, nonché desunta dai normali usi commerciali. E’ però essenziale che in tutti i contratti con i clienti venga all’origine disciplinata, in linea di massima, la possibilità di riconoscere sconti di merce, anche subordinate alla semplice volontà del cedente, senza quindi obbligo di alcuna precisa quantificazione dei modi, dei tempi e delle quantità.
Il semplice contratto verbale, seppur previsto in linea teorica dall’ordinamento giuridico, è difficilmente opponibile all’amministrazione finanziaria e in sede di eventuale contenzioso tributario.
Tali sconti di merce devono essere indicati in fattura, per il loro valore normale, senza però essere assoggettati a Iva.
Solo nel caso in cui non si possa ritenere che lo sconto di merce sia riconosciuto in dipendenza alle originarie pattuizioni contrattuali, allora occorrerà assoggettare ad Iva il valore normale della merce.
Non è pertanto corretto (e in ogni caso dannoso per la società) autofatturare gli sconti di merce riconosciuti ai clienti (infatti l’autofattura riduce il credito Iva di compendio della società, mentre l’applicazione della più corretta procedura di cui all’art. 15 è ovviamente ininfluente).
Nel caso delle cessioni a credito, nella fattura di vendita che segue è più corretto contemplare nel medesimo documento sia le quantità di beni ceduti a titolo oneroso (e quindi assoggettate ad imposta nei modi ordinari), sia le correlate quantità di beni ceduti a titolo di sconto merce.
E’ essenziale che in caso di merce trasportata possa riscontrasi una evidenza tanto sul documento di trasporto, tanto sulla fattura, ove deve essere evidenziata la natura di sconto di merce.
Se le procedure informatiche richiedessero di emettere distinte fatture per le cessioni di beni rispetto alle fatture per sconti merce è opportuno che sulla fattura delle merci cedute a titolo di sconto merce vengano richiamati gli estremi della fattura portante la cessione “principale”. Quanto precede vale anche nel caso in cui le medesime procedure informatiche richiedano, all’atto del trasporto, la formazione di distinti documenti di trasporto (ad esempio, una per la cessione a titolo oneroso e una per la cessione per sconto merce).
Qualora vi sia la figura di un concessionario che rifatturi al cedente le vendite effettuate alla Grande Distribuzione e alla Distribuzione Organizzata (conformemente alle condizioni contrattuali in essere) le eventuali cessioni di beni consegnati a titolo di sconto possono essere oggetto di rifatturazione tra cedente e concessionario in guisa che l’onere economico dello sconto faccia capo al cedente.
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RECENTE PRASSI
Come accennato, il tema delle note di variazione correlato alla prassi commerciale è sovente interessato da chiarimenti dell’Agenzia e/o della giurisprudenza.
Può essere ricordata la risoluzione 31 marzo 2009, n. 85/E, proprio sul tema operativo delle procedure di variazione ex art. 26 D.P.R. 633/72, immediatamente riconducibile alle classificazioni in esame. In caso di restituzione di merce, ai fini IVA la variazione in diminuzione può trovare indicazione anche in una successiva fattura di vendita “con il segno meno”, senza quindi dover accedere esclusivamente alla nota di credito.
In ogni caso il documento che attesta la “variazione” deve obbligatoriamente essere collegato alla fattura originaria, senza compensazioni e con l’indicazione dei dati essenziali per identificare il cedente, il cessionario, la qualità e la quantità del bene reso, con l’ammontare dell’imposta e dell’imponibile.
Tuttavia, secondo l’Amministrazione Finanziaria, resta valida anche la possibilità di emettere una nota di accredito a fronte della fattura originaria già emessa, rimborsando al cliente il valore dei beni restituiti.
Come si vede, il tema dei resi e delle note di variazione è assai dinamico, con continue evoluzioni interpretative. Non è solo quindi una articolata e complessa lettura delle norme IVA tra loro coordinate (art. 26 in primis), ma anche una corretta classificazione a priori della natura dell’operazione.
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CONSIDERAZIONI FINALI
Il tema qui svolto ha evidenziato l’importanza di un preventivo corretto inquadramento delle molteplici fattispecie che si presentano nell’ambito dei servizi promozionali.
Solo il corretto inquadramento consente di applicare la giusta norma IVA e non incorrere in sanzioni che, è giusto ricordare, per tale imposta colpiscono sia il cedente che il cessionario.
Il presente lavoro ha cercato di fornire delle classificazioni per le tante fattispecie che possono presentarsi.
Altrettanto importante è considerare l’esigenza che i valori relativi a tali fattispecie promozionali risultino congrui e quindi in linea con i valori generalmente utilizzati dalla prassi commerciale in relazione ai servizi resi.
Diversamente i valori trattati potranno essere riqualificati come contributi di liberalità, con tutte le evidenti conseguenze tributarie.
Altrettanto opportuno è che questa variegata casistica di fattispecie promozionali sia sempre adeguatamente dimostrabile da accordi contrattuali stipulati tra le parti.
Ciò per ossequio alle previsioni di legge in materia, ai principi generali di diritto, ma soprattutto per poter dimostrare con oggettività contrattuale sia la corretta qualificazione della “natura” dell’operazione, sia la congruità degli importi.
Ogni incertezza sulla corretta qualificazione delle operazioni e sulle modalità di quantificazione delle somme implica ricadute di natura tributaria e la difficoltà a ricondurre le operazioni di cui si discute nel corretto alveo.
Viceversa, l’esperienza insegna che non sempre i contratti commerciali vengono stipulati (e conservati) con attenzione per le esigenze tributarie.
La corretta qualificazione delle operazioni – anche con riferimento alle clausole contrattuali – rileva anche per la sempre articolata applicazione delle procedure ex art. 26 D.P.R. 633/72, in relazione alle quali la prassi è sempre molto “dinamica” e la legislazione italiana non è di immediata applicazione.
Giovi a tal proposito ricordare quanto recentemente disposto dalla richiamata risoluzione 31 marzo 2009, n. 85/E oppure il principio contenuto nella risoluzione 21 novembre 2008, n. 449/E laddove ha statuito che le note di variazione in ogni caso devono essere ammesse comunque entro il termine per l’esercizio del diritto di detrazione (cioè entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui si è verificato il presupposto della nota di variazione).